A differenza di Atena, sua rivale sulla scena politica della Grecia antica, Sparta non ha lasciato grandi vestigia del suo glorioso passato. Nonostante ciò il suo mito è giunto fino a noi attraverso i secoli.
Parliamo di «mito di Sparta», nelle due accezioni sottese a questo termine. Sia Mito come idea forza, come insieme di valori intorno ai quali aggregare la propria comunità, sia mito come luogo comune, come lettura parziale o inesatta di un fenomeno storico.
Disegnare un ritratto più veritiero della città di Leonida e Pausania, ridimensionando gli stereotipi sedimentati da tempo nella mentalità collettiva, è il compito che si è proposto la studiosa Laura Pepe con il suo bel saggio Sparta, edito da Laterza.
La specificità di Sparta
I pochi autori antichi che hanno raccontato la storia della città egemone nel Peloponneso e successivamente — sia pur per un breve periodo —, dell’intero mondo greco, sono quasi esclusivamente non spartani e le loro ricostruzioni appaiono lacunose o parziali. Interessate a tacere o amplificare questo o quell’aspetto della comunità lacedemone.
Tra gli studiosi di oggi c’è invece un dibattito aperto tra coloro che sostengono l’unicità della polís fondata da Licurgo e altri che sottolineano come, pur con le sue specificità e i suoi tratti distintivi, Sparta sia stata una «normale» città greca.
Attraverso una lettura comparata delle fonti e non mancando di sottolineare la complessità che comporta la ricostruzione storica della realtà di Sparta, Laura Pepe affronta in maniera critica i principali preconcetti riguardanti la città peloponnesiaca.
Le leggende nere
Dalle pagine del libro esce ridimensionata la «leggenda» dell’eliminazione dei bambini deboli e deformi. Si rivaluta il ruolo delle donne spartane, per molti versi sottomesse agli uomini come lo erano le donne in ogni altre città di Grecia, ma per molti altri ben più risolute, colte, indipendenti ed emancipate.
La ricostruzione degli usi e dei costumi degli spartani ci fa capire che essi non si nutrissero soltanto di addestramento e di guerra. Nelle loro giornate c’era spazio per la musica, i motti di spirito, le frasi laconiche e soprattutto per le Feste — come le Gimnopedie, le Carnee e le Giacinzie — che scandivano i momenti chiave dell’anno.
Per feste in Grecia e più in generale nel mondo antico non bisogna intendere un fatto laico organizzato da un singolo per celebrare un evento privato, ma un rito pubblico in onore di un Dio o di una Dea, al quale l’intera città è spronata a partecipare.
Il valore della Comunità
Sull’educazione dei giovani spartani — l’agoghé — apprendiamo come sia una forzatura ritenere che essa cancellasse il ruolo della famiglia e si svolgesse tutta quanta sotto l’egida esclusiva e soverchiante dell’autorità pubblica.
Sparta non è una città dominata dall’interferenza assillante dell’autorità pubblica bensì «il luogo che affida alla comunità l’esercizio reciproco del controllo sul singolo, lo spazio corale dove i cittadini collaborano insieme per una crescita che è insieme individuale e collettiva».
Sparta e Atene
Un punto importante riguarda il modello politico spartano. Laura Pepe spiega bene come l’antitesi tra un’Atene «democratica» e una Sparta «oligarchica» sia fuorviante.
Innanzitutto la demokratía — l’espressione usata da Pericle per definire Atene in un suo famoso discorso e che ha dato origine all’«equivoco» —, è del tutto diversa dalla democrazia come la intendiamo oggi.
Per prima cosa va ricordato che ad Atene, come in tutto il mondo antico, vigeva la schiavitù, poi che del popolo facevano parte soltanto i polítai, i cittadini maschi adulti che si definivano tali in base ad uno preciso ius sanguinis (entrambi i genitori ateniesi).
Dalle partecipazione all’assemblea cittadina oltre agli schiavi erano quindi escluse le donne, i figli di unioni miste e gli stranieri che risiedevano stabilmente ad Atene, anche se pagavano le tasse e in alcuni casi contribuivano sensibilmente all’economia della pólis.
Va infine tenuto presente che la gran parte dei polítai abitava e lavorava lontano dalla città e si recava alle riunioni nell’agorá soltanto nelle occasioni più importanti. In sostanza chi prendeva in maniera diretta le decisioni era una minoranza privilegiata libera da altre incombenze, valutabile tra il 10 e il 20% degli aventi diritto.
Anche la definizione di «oligarchia» per l’avversaria di Atena risulta impropria. I cittadini di Sparta, non a caso chiamati anche «gli uguali», hanno tutti i medesimi diritti e doveri.
Gli spartiati vivono principalmente in città, non sono impegnati in occupazioni materiali, e pertanto possono partecipare più agevolmente alle assemblee cittadine, dove vengono eletti ogni anno gli efori (i magistrati della pólis) e i membri del consiglio degli anziani (gherusía).
Sparta ha anche due re, tali per privilegio famigliare, ma questi hanno il dovere di rispettare le leggi come tutti gli altri cittadini e in caso di trasgressione vengono deposti.
La città dal buon governo
Per Platone Sparta è dunque una città di «buon governo», mentre Aristotele loda la stabilità della sua costituzione in quanto riuniva in sé i tratti delle tre principali forme di governo: la monarchia per la presenza dei due re, l’oligarchia per il consiglio degli anziani, e la democrazia per gli efori di estrazione popolare.
Lo storico Polibio, vissuto nel II secolo a.C., dopo aver lodato la «costituzione mista» di Sparta la paragona all’ordinamento della Roma repubblicana per la compresenza del consolato («che sembra essere monarchico»), del senato («che appare un’aristocrazia») e dei comizi («che risultano chiaramente democratici»).
Non poteva mancare nel libro il capitolo dedicato all’aspetto militare di Sparta nel quale è sottolineato il comportamento e il valore in battaglia dei suoi opliti, nonché la circostanza che in tutte le occasioni in cui le polís greche si unirono contro l’impero persiano il ruolo di comando venne affidato ai generali spartani, apprezzati oltre che per le loro capacità inerenti la guerra anche per la fedeltà alla parola data.
Il significato delle Termopile
Dalla ricostruzione dei fatti delle Termopile, si comprende come la resistenza di Leonida e dei suoi spartiati, oltre a rendere immortale la fama dei diretti protagonisti, ebbe un ruolo decisivo per il mantenimento dell’intera civiltà greca.
«Se non vi fosse stata quella vittoria morale, che portò alla vittoria concreta, ovvero se i persiani fossero riusciti nel loro progetto di sottomettere la Grecia, il futuro della civiltà greca — afferma Laura Pepe — sarebbe stato diverso». E probabilmente sarebbe stata diversa la civiltà romana e noi stessi che di entrambe siamo gli eredi.
Nel capitolo conclusivo del libro, l’autrice passa in rassegna anche la fortuna di Sparta nel corso dei secoli, in particolare nella Francia del XVIII secolo e nella Germania di quello successivo. Non è sfuggito alla studiosa neppure il fascino che il mito di Sparta esercita ancora oggi in ambienti della destra radicale, come attesta la recente pubblicazione per Passaggio al Bosco del saggio del francese Frédéric Epavier, Sparta e l’idea spartana.
Vincenzo Fratta
Laura Pepe
Sparta
Laterza, pp.240
