da EdicolaWeb.Tv del 28 dicembre 2020
Lo scoppio della pandemia di Coronavirus ha fatto risaltare gli effetti negativi della contrazione delle spese per le infrastrutture sanitarie, troppo spesso considerate dagli Stati una voce di bilancio da limitare, ossia un costo da contenere piuttosto che un investimento. Ciò in ossequio alla teoria economica dominante e al suo dogma della riduzione progressiva del debito pubblico degli Stati in vista di un auspicato «pareggio di bilancio». Il libro dell’economista Stephanie Kelton Il mito del deficit, che l’editore Fazi ha messo tempestivamente a disposizione dei lettori italiani, si incarica di smentire una volta per tutte tale assunto.
Stephanie Kelton è la studiosa di punta di una nuova scuola economica che si sta affermando in America, la Modern Monetary Theory (Mmt) che invita a ripensare completamente il funzionamento della finanza pubblica.
La «Teoria Monetaria Moderna» dimostra che il bilancio di uno Stato non è come quello di una famiglia, in quanto le Nazioni che dispongono della piena sovranità monetaria sono degli «emittenti di valuta», ben distinti da tutti gli altri soggetti che sono unicamente degli «utilizzatori di valuta», una prerogativa che gli consente di creare «dal nulla» tutto il denaro che vogliono.
Ne discende che essi non possono «finire i soldi», né possono essere costretti a fare default sui loro titoli di debito che sono emessi nella propria valuta.
Contrariamente a quanto sostiene la vulgata comune, i deficit pubblici non danneggiano le future generazioni, non pregiudicano la crescita a lungo termine, né la sostenibilità fiscale dello Stato è minacciata dalle politiche sociali messe in atto a vantaggio delle comunità nazionali.
Per un’economia funzionale
La Mmt si propone di dimostrare la fattibilità di una politica monetaria al servizio del popolo in grado di rovesciare la mentalità speculativa applicata alla produzione di beni di prima necessità che predica il taglio del costo del lavoro e delle normative di salvaguardia per far lievitare i guadagni degli azionisti.
Il divario tra ricchi e poveri in continua crescita nelle società occidentali dimostra che la globalizzazione avvantaggia pochi e lascia indietro molti. «Il fattore chiave – scrive Andrew Spannaus – è che per anni il messaggio offerto dalle élite politiche ed economiche è stato che l’unica scelta era di adeguarsi, accettare la nuova realtà precaria del mondo globalizzato, e darsi da fare per cercare di agganciare il treno dei grandi innovatori, anche se ciò significava vivere peggio di prima. Si è esclusa invece la possibilità di cambiare le regole, di intervenire con le politiche pubbliche per proteggere i più deboli e guidare i processi in atto, come se il processo fosse inevitabile, piuttosto che fatto e costruito da una serie di decisioni prese dai nostri governanti negli ultimi quarant’anni».
La Teoria Monetaria Moderna è invece fautrice di un’economia funzionale agli obiettivi dello Stato, che consistono essenzialmente nella piena occupazione, nella più equa distribuzione del reddito e della ricchezza, nel controllo dell’inflazione, nonché nella progressiva diminuzione dei fattori inquinanti e dello sfruttamento indiscriminato delle risorse del Pianeta. Il loro raggiungimento è una scelta politica, sulla quale non incide in maniera determinante il «particolare numero che viene iscritto nella casella del bilancio» dello Stato.
Non si sostiene che i governi a piena sovranità monetaria possano fare qualsiasi cosa: «Ogni economia – chiarisce Stephanie Kelton – ha i propri limiti di velocità interni, regolati dalla disponibilità delle sue risorse produttive reali. (…) Dei limiti quindi esistono. Questi, però, non stanno nella possibilità di un governo di spendere soldi o nel deficit, ma nelle pressioni inflazionistiche e nelle risorse presenti all’interno dell’economia reale».
Il primato della politica
Ne «Il mito del deficit» sono esposti in maniera semplice ed accessibile i concetti chiave della Mmt, mostrando come la politica economica possa contribuire alla costruzione di una società più giusta e più prospera, passando da una narrazione di scarsità ad una di opportunità.
Nella prefazione al libro scritta per i lettori italiani, l’autrice ci ricorda che la condizione di paese emittente di valuta, vale per nazioni come gli Usa, il Regno Unito, il Giappone, il Canada, l’Australia e molti altri, ma non vale purtroppo per l’Italia e gli altri Paesi europei, che con l’introduzione dell’Euro hanno rinunciato alla piena sovranità monetaria, divenendo semplici utilizzatori di valuta.
Il principale vulnus dell’Euro, condiviso dagli economisti della Mmt, è l’aver reciso il legale fondamentale tra le autorità politiche e quelle monetarie. Con il risultato di avere un’autorità monetaria la Bce, «molto potente ma priva di legittimità democratica, e delle autorità politiche nazionali democraticamente legittimate che non hanno pressoché nessun controllo sulle leve di politica economica».
Per colmare dislivello tra l’autorità monetaria e i decisori politici non ci sono che due strade: trasformare l’Unione Europea in uno Stato federale a tutti gli effetti o restituire la sovranità monetaria alle singole nazioni europee.
Sono entrambi percorsi difficile da intraprendere, ma il vizio di origine dell’Euro non potrà essere eluso ancora molto a lungo.
Le considerazioni sulla moneta, sul debito, sul deficit e sugli obiettivi di uno Stato sovrano contenute ne Il mito del deficit forniscono dunque un importante contributo di chiarezza e possono farci riflettere sulle scelte che ci attendono nel post epidemia, come italiani e come europei.
Vincenzo Fratta
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